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Epistulae Aliae 1
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1.

Pietro Bembo a Francesco Faraone

Padova, 25 giugno 1536

Lettera di Pietro Bembo a Pietro Faraone (Ed. Travi, III, n. 1766, pp. 655-656)

A M. Pietro Faraone di Messina. A Messina

Non arei potuto a questo tempo vedere alcuna cosa con tanto piacer mio, Sig.or M. Pietro, con quanto ho vedute le vostre lettere novellamente ricevute, con le quali mi mandate quelle di M. Francesco Maurolico vostro, Messinese, e di lui mi scrivete onoratamente, sì come veggo che la sua molta dottrina merita. Né posso dire a pieno di quanto obligo conosco esservi tenuto di questa cortesia, che m'abbiate data così amorevolmente contezza di voi. Del quale buon tempo ha che io nulla intendea, non per conto del vostro chiarissimo nome, che in ogni parte si celebra, ma per colpa mia, che mi sto il più delle volte assai solingo, lasciando le novelle del mondo a quelli che più curiosamente le cercano di me, e più di me le odono volentieri. Rendo adunque di ciò a V.S. infinite grazie, e infinite dell'amore che io sono tenuto, infino dal buon M. Agnolo vostro Avolo in qua, di portare a tutti gli eredi suoi e a tutta la vostra onorata e illustre famiglia. Dolgomi non di meno, tra questo piacer mio, che io non fossi in Vinegia quando voi ci veniste, come mi scriveste, ché v'arei abbracciato con tutto 'l mio animo. Siate eziandio ringraziato da me dell'ufficio che avete fatto a farmi conoscere così dotto e prestante uomo nelle Matematiche discipline, come il detto M. Francesco è. Ché per quello che io ne scorgo dalla sua epistola, egli è in esse scienziatissimo, e ne ha scritto sopra infinite belle cose e sottili, e da esser vedute disiderosamente da gli usati e inoltrati in quella scienza. Al qual M. Francesco rispondo con la lettera che fia con questa, e voi me gli proferrete e donerete quanto fia in piacer di voi medesimo. A voi non so che proferire, ché sète e grande, e di nulla avete mestiero. Pure vi profero me stesso, che poco tuttavia posso valere, ché sono sì vecchio, come potete agevolmente sapere, raccontati gli anni che varcati sono, poscia che io due e mezzo ne feci, dolcissimamente, nela vostra bellissima città, e d'ogni bene e bisogno della vita pienissima. Tuttavia io sto bene e gagliardo, o per dir più il vero, di nulla cagionevole della persona; e così fia il dono che io vi fo, per aventura men vile. Restami pregar V.S. che, se io son buono, a servirvi, disponiate di me sicuramente, ché nessuna cosa mi potrebbe giugnere più cara. State sano, e di me ricordevol, che vostro sono. A' XXV di Giugno MDXXXVI. Di Padova.

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